Sull’avambraccio
ha tatuato il numero di matricola 75190. Glielo impressero
nell’inverno del 1944, quando passò la prima selezione tra la vita
e la morte al campo di concentramento di Auswchwitz-Birkenau. Aveva
13 anni. Rimase nei campi di prigionia per più di un anno, fino al
primo maggio 1945, quando fu liberata dall’Armata Rossa. Dei 776
bambini italiani deportati ad Auschwitz, ne sopravvissero in 25.
Liliana Segre fu una di questi. Oggi quella bambina ha 89 anni, è
una senatrice a vita della Repubblica Italiana e, da ieri, è stata
messa sotto scorta per le minacce ricevute in quanto ebrea.
“Dopo
oltre 70 anni – afferma il Sindaco di Quarrata Marco
Mazzanti - il suo essere di origine ebraica è ancora
motivo di discriminazione e di odio e questo è semplicemente
inaccettabile. Per quello che ha vissuto e per l’impegno profuso
durante tutta la sua vita per testimoniare l’orrore delle
discriminazioni razziali e per diffondere la pace e la
concordia tra le persone ed i popoli, ho intenzione di proporre
all’approvazione del Consiglio Comunale il conferimento della
cittadinanza onoraria di Quarrata a Liliana Segre. A lei ci sentiamo
legati a livello ideale e per i valori che esprime. Ogni anno, in
occasione delle cerimonie legate alla Giornata della Memoria,
proponiamo per le terze medie della città un incontro di
approfondimento sui crimini delle discriminazioni razziali,
sui nazionalismi e sulle dittature, a partire dal Fascismo italiano.
Quest’anno l’incontro vedrà la testimonianza di Francesca
Nardini, nipote di una donna insignita dell'onorificenza di “giusto
tra le nazioni” per aver salvato la vita ad una famiglia ebrea, e
la proiezione di un filmato che propone proprio la testimonianza di
Liliana Segre”.
Nel
filmato che sarà proiettato, Liliana Segre racconta un episodio che
ha segnato la sua vita, avvenuto sul finire della sua prigionia.
Stava marciando, insieme ad altri prigionieri, quando i militari
nazisti iniziarono a spogliarsi delle loro uniformi. Stava infatti
arrivando l’Armata Rossa e i nazisti cercavano di confondersi tra i
prigionieri per scappare. Un militare, mentre si spogliava, fece
cadere la sua pistola vicino ai piedi di Liliana Segre. Lei, durante
tutta la prigionia, aveva pensato più volte di vendicarsi delle
violenze e delle angherie subite: in quel momento la vendetta diventò
una possibilità concreta. Ma decise di non raccogliere quella
pistola. “In quel momento capii – racconta nel video –
che io ero diversa da loro, che io non avrei mai ucciso nessuno e
che per questo sarei stata per tutta la vita una donna libera”.
MQ